LE CLARISSE E CHARLES DE FOUCAULD

 

Ogni autentica ricerca spirituale è faticosa da vivere in prima persona e anche da rispettare e accompagnare in altri, persino quando avviene in un contesto, possiamo dire, privilegiato di ascolto, quale fu il soggiorno di Charles de Foucauld presso le Clarisse di Nazareth e di Gerusalemme.

Scorrendo le varie biografie esistenti in italiano, non è facile ricostruire, al di là di alcuni dati esterni, quanto veramente Charles ha vissuto interiormente nel contatto con le Clarisse.

Fr. Charles non ne parla quasi, per quella stessa austerità, forse, per la quale, se non fosse intervenuto l’abbé Huvelin avrebbe smesso di scrivere alla cugina; non è detto però che interiormente non riconoscesse il debito con loro e non sentisse in loro rinnovarsi quella maternità spirituale della cugina che tanto gli aveva giovato: non è mai stato facile, e non lo è, che l’uomo riconosca quanto spiritualmente deve ad una presenza femminile. Resta che tre anni non possono certo vivere in vicinanza anime assetate di Dio senza comunicarsi molto, al di là delle parole.

Di fatto fr Charles lo dice nella elezione operata a Nazareth il 26 Aprile 1900, quando si chiede «cosa sente il mio cuore?»; all’ottavo posto (su dieci) pone «una crescita di amore per queste buone suore di S. Chiara presso le quali ho passato tre anni e mezzo sì dolci e sì benedetti» (cf Scritti Spirituali 9/11, Città Nuova 1974, p. 141).

Certo all’inizio c’è a Nazareth la curiosità per la stranezza del personaggio, poi a Gerusalemme per le voci che arrivano, ma vi era soprattutto una quotidiana, continua, reciproca testimonianza di preghiera, silenzio, solitudine, povertà, penitenza, umiltà.

Nel primo ritiro di questo periodo Charles si dice che le Clarisse devono «trovare la loro gioia nel vederti all’ultimo posto», ma non è anche il posto delle «minori»?

Certo le Clarisse, legate ad una lunga e chiara tradizione, vivevano queste cose con molta concretezza e realismo, Charles si muoveva a tentoni alla ricerca di un suo stile. Santa Chiara nel suo Testamento aveva affermato che lei e le sorelle erano state scelte dal Signore «come forma, esempio e specchio degli altri» (cf n. 19-20), come poterono quindi non esserlo le sue figlie per questo inquieto ricercatore del progetto di Dio su di lui?

È senz’altro accanto a loro che pian piano Charles si semplifica, si ridimensiona, scopre che quella vita per lui non è da vero operaio, visto che passa la giornata disegnando immagini, leggendo e pregando; quella vita per lui non è veramente scomoda e oscura, non è veramente eremitica; anche se pensa di non dover desiderare altro, di fatto non ce la fa, inizia tutta una ricerca interiore sulle vie possibili e fa anche qualche tentativo concreto che fallisce.

Di questo periodo sono le sue meditazioni sulle tre vite: eremitica – vita di fraternità e lavoro – vita tutta dedicata all’evangelizzazione e alla predicazione; queste vengono esaminate nelle costanti, nelle diversità e nella dinamica che le unisce. Fa poi il tentativo di fare l’eremita a Gerusalemme (e torna volentieri a Nazareth!) e così non conclude quanto riguarda il Monte delle Beatitudini.

Fr. Charles, accanto alle sorelle di santa Chiara, scopre che lì non è la meta, ma una tappa per altro, una tappa per purificare quanto lo aveva allontanato dalla trappa, ma che doveva essere recuperato: stare con gli ultimi, salvare le anime, rischiare la vita, «a suo modo».

In fondo le Clarisse, in altro modo, vivevano proprio questo: contemplativi, per le strade o in clausura, lo si diventa sempre per un radicale amore a Dio e agli uomini, assumendo in pieno l’umanità propria e quella altrui in tutti i suoi limiti, povertà, abissi.

È presso queste donne «segregate» dal mondo, presso le quali il suo padre spirituale insiste che «resti», che Charles riscopre che proprio il suo amore a Gesù gli dilata il cuore a una preghiera universale e questo lo prepara al sacerdozio e a farsi grido vivente del Vangelo tra chi lo ignora.

Ad un certo punto l’abbadessa di Gerusalemme che ha l’arte spirituale di farlo parlare dei suoi desideri profondi (il suo compito, secondo lo spirito della Regola di Chiara, la pone al servizio della crescita delle sorelle e di ogni loro necessità), e che lo vede da vicino ormai pronto per altro, lo aiuta a rompere i suoi indugi, e anche la prudenza del padre spirituale, e a partire per divenire prete e dar vita a qualcosa di nuovo: come non ricordare che anche Chiara aveva dato luce a Francesco, quando non sapeva se darsi tutto all’orazione o andar predicando, proprio lanciandolo sulle vie del mondo? ( cf LM 12,2 – Fioretti 16).

lo credo che con il silenzio e con la provocazione le Clarisse abbiano davvero partorito Charles nella sua nuova e definitiva vocazione: da randagio al suo posto, un vero parto spirituale a cui può seguire, e in questo caso segue, un distacco definitivo e non graduale come avviene nel piano naturale, addolcito solo da non sapere come sarebbero andate le cose

Di fatto fr. Charles parte per occuparsi anche di cose che riguardano le Clarisse e solo durante l’anno di preparazione al ministero sacerdotale abbandona per sempre l’idea di eremitaggio e quella di tornare in Terra Santa: matura che la vita di Nazareth va vissuta «fra le pecorelle più abbandonate» e le riconosce nelle popolazioni del Marocco e degli altri paesi arabi.

Rinascere nello Spirito o far rinascere è sempre operazione che richiede coinvolgimento personale, sforzo, pena: per questo usare il verbo partorire sarebbe più espressivo in italiano che il verbo generare (i verbi corrispondenti greco ed ebraico si possono tradurre in ambedue i modi). Far trionfare in noi o in altri lo Spirito è sempre un parto con tutte le sue caratteristiche di rischio, dolore, distacco, prima, di gioia che tutto fa ridimensionare, dopo. «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21): Gesù stesso usa questa immagine per i discepoli messi alla prova dalla sua passione, essi infatti saranno davvero uomini spirituali dopo che il seno di Gesù sarà stato squarciato, allora saranno partoriti a nuova vita, dopo la resurrezione, dopo una separazione sul piano del visibile.

Voglio pensare che le Clarisse seppero della scelta e gioirono del suo andare là dove il Signore non era conosciuto e nemmeno presente nell’Eucaristia per l’assenza di preti e allargarono il cuore della loro preghiera ai suoi passi, proprio come dai tempi di Chiara facevano per la missione dei loro fratelli minori e per restare aperte agli orizzonti del mondo. Anche in questo le Clarisse possono essere state maestre per Charles, nel saper vivere senza vedere frutti, lui non vedrà mai compiersi il suo desiderio di compagni e resterà solo.

Lui, come loro, forse come tutti i grandi contemplativi nascosti a sè medesimi, vivrà la beatitudine del credere e della fedeltà senza misurare la propria fecondità, anzi pensando a volte di aver sbagliato tutto, pur se finisce sempre per abbandonarsi al Padre. Vi è nella Chiesa il ministero di coloro che generano alla vita spirituale visibilmente, per quanto è dato di vedere, ma vi è anche quello di coloro che ne vivono la gestazione nascosta nel silenzio e nella solitudine, nella separatezza fisica o del cuore. Il tema del nascondimento accompagna queste persone che portano in sé il desiderio della salvezza di tutti gli uomini, basta pensare a santa Teresina, ma anche a Silvano del Monte Athos, alla reclusa camaldolese Nazarena, tutte figure che vale la pena conoscere.

Da sempre nella Chiesa si è riconosciuta la fecondità di queste presenze e oggi più che mai i monasteri sono chiamati a questo compito e a partorire la vocazione delle persone che sostano presso di loro in ricerca della propria chiamata, forse inusuale: solo così queste ultime potranno seguire il vento dello Spirito e non le proprie inquietudini, così come ci insegna l’avventura di Charles de Foucauld.

Giuliana Babini cf Jesus Caritas 1994