MARTA E MARIA: Discepolato ed unificazione interiore

 

 Note di lettura biblica a cura di Giuliana Babini

Premesse

l – Di Marta e Maria si parla in Luca 10,38-42 e in Giovanni 11,1-44; 12,1-8: nella mia relazione privilegerò il testo lucano, in quanto ho toccato i testi giovannei parlando della samaritana, e poi il passo di Luca con Marta e Maria è una pagina con molto spessore, che non ha trovato ancora una lettura chiarificata.

Per molto tempo non è stata letta né come pagina dell’insegnamento di Gesù, né come pagina attenta alla presenza femminile, ma come scena che rimanda alla contrapposizione tra azione e contemplazione (problema greco-medievale-monastico, estraneo al contesto biblico). Questa lettura simbolica, diventata luogo comune (c’è in Ambrogio, in Agostino, in Gregorio Magno, in Tommaso d’Aquino[1]) ha finito per ricadere sulle due donne, condizionando l’interpretazione della loro situazione di vita (si può trasformare una cosa in simbolo, ma non si può riportare poi tutto il significato simbolico al concreto[2]). Mettendo in secondo piano Gesù, si sono viste due sorelle in litigio, sia che si volesse privilegiare l’ascoltante Maria o l’attiva Marta (ed è il caso dei movimenti laicali femminili del 300-400[3], e più tardi di istituzioni apostoliche sempre in polemica con la vita claustrata, e di alcune femministe del nostro secolo).

Vedremo che se si tiene conto del Vangelo di Luca, cui appartiene questa pagina, e si mette in primo piano la presenza di Gesù, è possibile una lettura dell’episodio più distesa, a più ampio respiro e più concordante con le stesse figure nel Vangelo di Giovanni.

Cercherò di far prevalere il testo sulle considerazioni psicologiche, che sono però un po’ inevitabili in un episodio come questo, ma non vincolanti.

2 – “Un testo senza un contesto è un pretesto”, cioè si apre a pregiudizi, preletture: il testo di Marta e Maria ne è un esempio illustre, ed è stato talmente usato per la discussione “azione o contemplazione”, che, ancora oggi, certi autori, anche quando trattano delle donne in Luca, preferiscono quasi sorvolarlo; i commenti sono generalmente molto superficiali, riduttivi.

Vi è poi la difficoltà che la Maria di Betania nella tradizione patristico -medievale occidentale, soprattutto da Gregorio Magno in poi, viene identificata con Maria di Magdala, a sua volta identificata con la peccatrice di Lc 7, e quindi non c’è una tradizione di approfondimento delle diverse figure femminili[4], ma un sommare stereotipi, luoghi comuni, fino a voler dare un’unica immagine-tipo di donna, peccatrice pentita, perdonata, piena di amore.

Il contesto del nostro brano

Collochiamo il nostro testo nel Vangelo di Luca, cercando di guardare oggettivamente il passo, così come ci è dato: non farò il collegamento con tutti i testi lucani in cui si parla delle donne, perché ce ne sono troppi sia nel Vangelo che negli Atti, oltre la loro ben supposta presenza tra la folla, a cui è sempre attento Luca, e quindi il discorso si allargherebbe troppo.

Il vangelo di Luca, che è sotto il segno di una benedizione sospesa: Zaccaria esce dal tempio muto e non può benedire il popolo che attendeva (1,22), e una benedizione che verrà data solo alla fine da Gesù ai discepoli mentre “fu portato verso il cielo” (24,50s), molto semplicemente si può suddividere così:

1,1-4                          Prologo

1,5-2,52                     Vangelo dell’infanzia

3,l-4,13                      Preparazione al ministero pubblico

4,14-9,50                   Ministero galilaico

9,51-19,28                 Viaggio a Gerusalemme (9,51-18,14 inserto lucano)

19,28-24,53               A Gerusalemme: morte e risurrezione.

Il nostro testo si colloca quindi nella sezione 9,51-19,28 che Luca presenta, a livello strutturale e teologico, come un viaggio di Gesù a Gerusalemme, affrontato con decisione e consapevolezza, e precisamente si trova in quella parte 9,51-18,14 che è particolare di Luca, in quanto si discosta da Marco e, se ha testi in comune con Matteo[5], ne ha molti che sono soltanto lucani, come il nostro brano con Marta e Maria.

Se guardiamo a ciò che viene prima del nostro brano e a ciò che segue, notiamo che il nostro testo viene a trovarsi tra “a chi farsi prossimo” (così Gesù riformula la domanda dello scriba nell’ambito della Parabola del Samaritano) e il tema della preghiera (il “Padre nostro”, l’efficacia e il dono dello Spirito): non servirà il nostro testo a collegarli? a unificarli?

È una domanda a cui ciascuno potrà ritornare personalmente alla fine.

Gesù di fatto sta educando i discepoli durante il viaggio e all’inizio è posto in evidenza il tema della sequela: in 9,57-62 ne sono mostrate le esigenze radicali; segue la missione dei 72 che indica quanto poi dovranno fare; poi si ricorda l’essenziale della Legge e lo si esemplifica, e nel nostro brano, si esemplifica il discepolato stesso; l’espressione “stare ai piedi di …”  è espressione tecnica per designarlo (cf. At 22,3 Paolo- Gamaliele; Lc 8,35s l’indemoniato-discepolo).

Gesù corregge i suoi interlocutori che sono disposti a seguirlo (9,58.60.62) e quelli che lo seguono (10,20), così corregge Marta. Gesù in 9,53s non è accolto e semplicemente prosegue il cammino; qui in 10,38 è accolto e si ferma: di fatto Gesù esemplifica col proprio vissuto quanto è andato dicendo ai discepoli al cap. 10,5s (quando vi accoglieranno … quando non vi accoglieranno …).

L’insegnamento del brano: il discepolato

Leggiamo il nostro testo più da vicino, tenendo ben presente che in primo piano è Gesù. Prima di ogni altra cosa dobbiamo cogliere cosa questo brano dice di lui, quale comportamento, quale interesse, quale insegnamento di lui svela. Se si trattasse solo di uno scontro tra due sorelle, Gesù non interverrebbe, come non interviene in 12,13 per quel tizio che gli dice: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Gesù si serve di certe situazioni concrete per trasmettere il suo insegnamento, che non è mai risposta a quella sola situazione, ma va alla radice dell’atteggiamento che deve avere il discepolo.

Innanzi tutto, nel nostro passo, come ho già accennato, troviamo una stranezza, “entrò”: vi è un singolare, Gesù entra solo. E i discepoli? Guardate che non si parla di casa, ma di villaggio, per cui è davvero strano, visto che sono in cammino insieme. Ma questo lo isola e lo mette in risalto nel suo essere l’inviato attraverso cui Dio visita il suo popolo (un tema molto caro a Luca) e pone l’incontro con Marta e Maria oltre l’episodico, sul piano paradigmatico, indicativo di qualcosa d’altro. Gesù in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la sorte dei profeti, vuol essere accolto ma certo di una accoglienza che non si limita al pranzo, esige un’attenzione piena per lui e il suo mistero.

Marta poi sembra capofamiglia, ha l’iniziativa “ lo accolse” e “aveva una sorella” (non si parla del fratello … ): due sorelle sole non è usuale nel contesto palestinese dell’epoca.

In breve la vicenda è questa: Gesù è amico di entrambe e le incontra così come sono, e invece Marta vorrebbe che scegliesse come autentico il suo modo di fare e non si è accorta che, facendo il confronto tra il suo agire e quello della sorella, è distratta e non ha ascoltato il Signore (le case erano piccole e avrebbe potuto farlo anche facendo i servizi). Il Signore la rimprovera, sottolineando la scelta di Maria che sola ha capito cosa veramente Gesù desiderava: capire i desideri dell’ospite, ecco la vera accoglienza!

Se guardiamo al testo greco, sia il verbo distrarre che ascoltare sono all’imperfetto e indicano perciò azione ripetuta: quindi mentre per Maria si sottolinea la continuità dell’ascolto e dell’attenzione al Signore, di Marta è come si dicesse che un po’ ascolta e un po’ pensa ad altro, si distrae più volte, non riuscendo ad essere veramente attenta a Gesù, anche se di fatto ciò che fa è bene. Vi è, infatti, per indicare ciò che fa Marta, la parola “diaconia” che nel linguaggio della Chiesa delle origini è un termine positivo, pregnante; termine tecnico per chi svolge un compito nella comunità. Certo può aver qui un significato quotidiano “servire a tavola” (cosa che mai mancava nelle riunioni comunitarie delle origini[6], ma Luca è molto attento al tema della comunità ecclesiale e le risonanze scattano immediate. Il verbo corrispondente è usato poi da Marta stessa (v. 40) ed è lo stesso verbo che la caratterizza in Gv 12,2[7].

Torniamo però un momento a Maria seduta ai piedi di Gesù: nel contesto ebraico il discepolo non solo ascoltava il maestro, ma lo serviva, stava con lui, lo osservava vivere per imitarlo (in sintesi si può dire che metteva in atto un ascolto fattivo[8]) e questo sfondo ha un particolare valore nel vangelo di Luca, che può essere diviso anche in una prima parte in cui prevale l’ascolto, e in una seconda in cui prevale il vedere. La prima parte possiamo dire che culmina in 8,21 “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”, dopo che Luca, nel commento alla parabola del seminatore, ha posto l’accento sul “come” ascoltare (cfr. 8,18: il come è proprio di Lc; Mc ha solo “quello” che ascoltate), “con cuore buono e bello” (8,15), uno “che dà ordini ai venti e all’acqua e gli obbediscono (= ascoltano)” (8,25). Nella seconda parte invece, a partire da 9,51, inizio del viaggio a Gerusalemme, conta sempre di più la visione che culmina in quella del popolo che guarda al crocifisso e si pente (23,48)[9].

Già prima Luca aveva ricordato che Giovanni Battista aveva mandato due discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? e Gesù aveva risposto: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito …” (7,19.22).

Di particolare, nel nostro episodio, c’è che si tratta di una donna, a cui la legge non solo proibiva il discepolato, ma la stessa lettura della torah. Per di più, nel contesto ci troviamo non lontano da Gerusalemme (anche se Luca non mette nessuna indicazione), dove si era più rigidi in proposito[10].

Continuando a percorrere il testo, per quanto riguarda Marta vi è quel “fattasi avanti” che può essere inteso come un’espressione forte, quasi ad indicare ‘invadenza’. Marta è qui simile a Pietro che dice a Gesù, di fronte all’annuncio della passione, “non sia mai!”; l’uno e l’altra vogliono indicare a Gesù cosa deve fare, anche se Pietro si sentiva un eroe (- morirò per te – aggiungerà in seguito), mentre Marta non fa che sottolineare la solitudine che sente dentro (“sola a servire”). Forse è proprio questa solitudine che le fa scattare l’irritazione per la sorella che si comporta diversamente: “non ti importa che …”. È questa un’altra espressione forte[11], specie perché Luca, di solito, tende ad addolcire il linguaggio. Comunque è chiaro che Marta vuol essere in primo piano, protagonista.

Gesù le risponde in modo solenne, appellativo, quasi vocazionale, come volesse far emergere quella che è veramente, perché ripete il nome come avviene nei momenti forti di dialogo tra Dio e la sua creatura[12]e, nel suo richiamarla, usa due verbi che vogliono indicare agitazione interna e agitazione esterna, “ti preoccupi e ti agiti”: nel primo verbo possiamo intravedere una angustia interiore come quella di chi non sa decidersi; nel secondo verbo è implicito il rumore, il tumulto che disturba anche gli altri, quel suo farsi avanti, appunto[13].

Proseguendo, se volessimo fermarci sull’espressione “una cosa è necessaria”, dovremmo scorrere tutto il vangelo. Ricordiamo solo alcune espressioni lucane: “Cercate piuttosto il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in aggiunta” (Lc 12,31); “Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore” (Lc 12,34)[14].

Maria ha eletto per sé la parte buona (non c’è nel testo il comparativo[15]) e l’espressione è reminiscenza biblica (es: Sl 16,5 “Il Signore è la mia parte di eredità”[16]; Sl 119,5 “La mia sorte è custodire le tue Parole”). Questo è molto importante per cogliere che la diversità delle sorelle serve solo per mettere in rilievo ciò che Gesù vuol sottolineare: anche Marta aveva quella parte[17], ma in lei ancora si trovava un cuore diviso, mentre Maria è stata capace di scegliere con un cuore indiviso, per questo “non le sarà tolta” (la stessa forma verbale greca all’aoristo indica scelta definitiva). Le scelte fatte con cuore unificato sono davvero per sempre e nessun nemico le può distruggere. Maria ha scelto[18], ha giocato la sua libertà, ha rinunciato ad altro: non è destinata a quell’ascolto dalla cosiddetta “passività femminile” (che poi non esiste, anzi … ); è il discepolo che vive la sua chiamata fino in fondo. Ricordate che poco prima nel vangelo di Luca si erano ricordate le scelte fatte con animo diviso (Lc 9,57-62): Maria è il discepolo che vive già in anticipo quello che il Signore vuole per tutti: “… è Dio la mia sorte per sempre ... il mio bene è stare vicino a Dio …” (Sl 73,26-28).

La diversità delle due sorelle è quella stessa che fa risaltare Giovanni al cap.11 dove in primo piano è sempre Gesù che è costantemente in scena: Marta è di iniziativa, vuole affermazioni chiare, nette, sicure, universalmente valide (quali il potere di intercessione di Gesù, la risurrezione nell’ultimo giorno, il ritorno del Cristo), vuole condividere la propria esperienza di fede (va a chiamare Maria), ma controlla la realtà: “Signore, già manda cattivo odore …” (11,39 e c’è il tono dell’obiezione!), non dà spazio all’imprevedibile, al lasciar fare.

Maria forse le deve l’incontro con Gesù, ma poi lo porta avanti nel suo modo di essere ben diverso; segue semplicemente la logica dell’amore e del coinvolgimento: piange liberamente e attende; lascia ogni iniziativa al Signore.

Marta sta sempre in piedi, sia in Luca che in Giovanni; Maria è sempre ai piedi di Gesù. Una sorella si muove qua e là e prende sempre la parola, l’altra sta silenziosa; in Gv Maria ripete la frase della sorella, ma non c’è più il tono di rimprovero, è lamento, quasi tra sé, e non è quindi interruzione del silenzio di fronte a Gesù. Gesù nel brano di Marta e Maria ricorda l’essenzialità dell’ascolto, qui in Giovanni 11 fa vedere la potenza della sua parola. Il discepolo è colui che ascolta sempre il suo Signore, è colui che vuole che il Maestro parli, insegni, come fanno i discepoli subito dopo l’incontro di Marta e Maria, chiedendogli di insegnar loro a pregare; ma discepolo è anche colui che riconosce, esperimenta, vede la potenza della sua parola che fa vivere.

Il cuore di questa pagina di Marta e Maria è proprio ciò che Gesù indica essenziale per essere discepoli: l’ascolto in senso profondo, vero, trasformante. La scena è paradigmatica: Marta e Maria esemplificano come si può essere discepoli di Gesù (per questo i discepoli che lo seguivano non ci sono, sono in esse riassunti). Certo è significativo, direi, per l’epoca, inaudito, che questo venga fatto ricorrendo a due figure femminili, visto che alle donne, al tempo di Gesù, era proibito ogni accesso al discepolato. Questa novità impedisce di riportare poi la tipologia femminile nell’ alveo tradizionale: Maria passiva, mistica (in senso più ecclesiastico che spirituale) e Marta casalinga dalla mentalità stretta, dimenticando che in Giovanni la sua confessione di fede è più forte di quella di Pietro!

Si rende giustizia a queste due figure solo se le si considera presentazione di due modalità dell’essere discepoli di Gesù, modalità possibili sia a uomini che a donne. Per gli evangelisti, al centro dell’interesse sta Gesù e il suo modo di rapportarsi, che nell’altro vede prima che l’uomo o la donna, il discepolo che deve essere coinvolto nella sequela con tutto sè stesso, così come è … L’insegnamento di Gesù va oltre le circostanze concrete.

Le parabole erano tratte da esempi di vita, così incontri avuti nella concretezza potevano assurgere ad un valore esemplificativo: nell’uno e nell’altro caso, Luca ama usare ‘due’ personaggi esemplari a contrasto, in quanto per un ebreo due opposti includevano tutto quanto c’è in mezzo (per esempio, si usava “entrare e uscire” per indicare tutta la vita) e questo contrasto finiva per far risaltare ciò che veramente si voleva illuminare[19].

Per capire meglio possiamo fare l’esempio de ‘il fariseo e il pubblicano’, testo solo lucano come il nostro, e testo che chiude l’inserto proprio di Luca di cui fa parte il nostro episodio. Qui abbiamo due uomini[20], ma se guardiamo bene vi troviamo due modalità di porsi davanti a Dio, e sono modalità molto vicine alle caratteristiche del porsi davanti a Gesù di Marta e Maria. Anche qui troviamo la contrapposizione di due tipi, non tanto per condannarne uno in toto: il fariseo probabilmente sta dicendo il vero, fa quello che dice; non sono sbagliate le sue opere, come non era male il servizio di Marta, ma errato è il confronto, il giudizio sull’ altro, che rivela una persona divisa dentro, che si fida più delle cose che fa, che di Dio.

Il Fariseo si comporta rettamente, ma resta dentro la propria illusione di giustizia e allora quale immagine di Dio ha, se ce l’ha? In realtà il fariseo guarda a sé come fa Marta, il pubblicano, come Maria, guarda solo il suo Signore.

In Luca tutto l’insegnamento del viaggio a Gerusalemme è “guardare Gesù”, decentrarsi, volgere lo sguardo a Colui che dà la vita, il resto è relativizzato.

Quindi, nel fariseo e nel pubblicano modalità maschili, in Marta e Maria modalità femminili di rapportarsi al Signore? È domanda che ci possiamo fare noi oggi, ma io credo che, qui e là, si è sempre rimandati ad altro di più essenziale, di più profondo, valido per ogni persona.

Ho fatto così sparire il quotidiano femminile? No! L’importanza di questa pagina evangelica sta proprio – lo ripeto – nel fatto più semplice e trascurato: due donne nella loro diversità, ognuna per quello che è, sono presentate come modello del discepolo. Il discepolato è aperto loro da Gesù a pieno titolo senza sconti, senza pretese particolari … Ci saranno, forse sempre, i condizionamenti della storia nel modo di poterlo vivere, anche se spesso le donne sono state più radicali degli uomini e soprattutto più fedeli, ma è chiaro che non si deve esaltare Marta come ideale di donna più confacente all’ oggi, togliendo a Maria, sotto la presunta colpa di passività, il buono della sua parte, né si deve esaltare Maria contro Marta come se il servire non fosse cosa buona. Il discepolato è l’autentico quotidiano del credente, non si è discepoli solo la domenica; poco importa cosa io debba fare, se la cucina, l’infermiera, la docente o la dirigente: il mio credere si misura dall’ascolto fattivo della parola, dove fattivo non vuol dire solo “fare opere”, ma anche e prima di tutto lasciarsi trasformare dalla parola, lasciarsi cambiare il cuore, circoncidere il cuore, inscrivere dentro i due grandi comandamenti[21]. E’ nel quotidiano, nella monotonia quotidiana che si gioca la libertà e la fedeltà.

Nel discepolato si anticipa la verità che sarà piena solo nel Regno dei cieli: “... battezzati … rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”(Gal 3,27-28). Anzi, nella maturità spirituale, dice Massimo il Confessore: “Chi è perfetto nella carità ... divenuto superiore alla tirannide delle passioni, guardando all’unica natura degli uomini, considera tutti allo stesso modo e ha le medesime disposizioni verso tutti. In lui infatti non c’è greco e giudeo, né maschio e femmina, né schiavo e libero, ma tutto e in tutti, Cristo”.

Gesù visita, accoglie sia Marta che Maria, e avrebbe rimproverato Maria se avesse assolutizzato il proprio modo di porsi contro la sorella[22]

Resta che dai testi di Luca e Giovanni esaminati Marta serve con fede convinta, ma è un po’ rigida, dura; Maria ama e il suo amore si fa messaggio di fede (i Giudei in Giovanni sono con lei, non con Marta) e il suo atteggiamento si fa trasparente e profetico, come si vede in Gv 12,1-8. Il suo rischio è essere senza autorità, ma nella Chiesa, come ci vogliono i Pietro e i Giovanni, così ci vogliono le Marte e le Marie: deve esserci inclusione, integrazione e soprattutto

ognuno/ognuna deve seguire ciò che il Signore dice a lui/a lei personalmente: il Signore rende visita ad ognuno/a, non alle categorie … e ognuno/a deve essere attento/a, ascoltante, vedente l’essenziale.

C’è stato un periodo in cui ci voleva coraggio ad essere Marta, perché bisognava reagire allo stile di vita delle donne di allora, chiuso nel privato, e alla concezione della vita consacrata femminile posta tutta sotto il segno della clausura e sotto il controllo maschile. Oggi forse ci vuole più coraggio a essere Maria nella società, nella Chiesa, ma anche nei conventi: i criteri dell’ efficienza e del protagonismo entrano ovunque, ci strutturano se non vigiliamo, mentre il valore evangelico dell’ attesa paziente e silenziosa di Maria rischia di non trovare più spazio; ma il futuro, le promesse sono legate da Gesù ai gesti di Maria: “non le sarà tolta” (afferma Lc), “in tutto il mondo si racconterà ciò che ella ha fatto” (si dice in Mc/Mt per il suo gesto).

Solo un ascolto costante fa entrare nei pensieri del Signore, che non sono i nostri pensieri, e ci fa dei veri obbedienti alle sue parole, dei discepoli”.

In sintesi questa pagina mette in luce questi elementi essenziali:

  • Il discepolato è ascoltare e guardare a Gesù
  • Il discepolato è impegno quotidiano per
  • Il discepolato è aperto alle donne a pieno titolo.
  • Il discepolato va vissuto con cuore indiviso, fissando lo sguardo su Gesù e chiedendo, nella preghiera, il dono dello Spirito (Lc11,13).

 

Il discepolato accolto con cuore unificato rende profeti.

Anche a proposito di Gv 12,1-8 il discorso, dal punto di vista esegetico e di inquadramento letterario nell’insieme del Vangelo di Giovanni, sarebbe lungo; inoltre il brano richiederebbe il confronto con le altre unzioni da parte di una donna in Mc 14,3-9 / Mt 26,6-13, passi in cui una donna anonima, alla vigilia della passione, versa sul capo di Gesù il profumo, con un gesto riconducibile forse ad una valenza messianica[23]. E ancora si dovrebbe fare il confronto tra il brano di Giovanni e Luca 7,36-50, dove un gesto analogo, anch’esso anonimo, diventa il gesto umile, servile di lavare e profumare i piedi, anche se quest’ultimo aspetto di “profumare” è insolito[24]

Giovanni 12,1-8 ha qualcosa di ambedue le suddette scene, ma tutto è più personalizzato a cominciare dal fatto che la donna ha un nome ed è già conosciuta: Maria di Betania, e questo rende più forte la relazione tra lei e Gesù.

Lo sciogliersi i capelli, il profumare i piedi, non hanno nessuna giustificazione, sono puro gesto d’amore e di amore intuitivo, profetico: è come se Maria percepisse, proprio per quell’ascolto che abbiamo visto in Luca e per il silenzio che la caratterizza, il mistero della vita di Gesù, come lui stesso sottolineerà: “è per il giorno della mia sepoltura”. L’attenzione di Maria non è per il personaggio Gesù, ma per la sua umanità che si è fatta carico della morte già risuscitando Lazzaro.

Tenendo presente il Vangelo di Luca, potremmo dire che Maria si comporta con Gesù come il Samaritano, anche se i briganti devono ancora passare all’azione che hanno già decisa (11,57).

Giovanni era senz’altro consapevole dell’eccezionalità dei gesti che presentava: sapeva che non si ungono i piedi di una persona viva, ma di un morto sì, per la preparazione sepolcrale e che anche il gesto di sciogliersi i capelli può avere a che fare con la morte[25]. Comunque la scena è funzionale alla teologia di Giovanni che vuole Gesù consapevole dell’ora che si avvicina; siamo al sabato prima della sua morte, inizia l’ultima sua settimana di vita, quasi contrappunto alla settimana inaugurale. Maria prepara Gesù per la morte.

La grande quantità di olio profumato e il suo valore, presenti anche in Mc/Mt, vengono a simbolizzare l’intensità dell’amore di Maria (cf. Ct 1,3;4,10s) e la possibilità che tale profumo riempia la casa, segno che l’amore/profumo vince la morte; non solo e non tanto l’amore di Maria, ma quello di Gesù (Gv 11,5) che è amore fino alla fine, come si dice in Gv 13,1s, quando Gesù riprende, in un certo senso, il gesto di Maria.

Il v. 7 ha diverse traduzioni:

1) Lasciala fare affinché conservi (o meglio “perché ha conservato” … così traducendo, dice Brown, anche se è lezione minor, il pensiero diventa più chiaro) questo (profumo) per il giorno della mia sepoltura”. Se il verbo non si traduce al passato, è come se ce ne fosse ancora; di fatto solo Mc parla della rottura del vaso, ma che ne resti non sembra secondo il contesto.

2) “Lasciala! Che essa conservi nella memoria (il verbo “tereo” è lo stesso che usa Luca per Maria in 2,19.57, anche se qui manca ‘nel suo cuore’) questo (gesto) fino al giorno della mia sepoltura.

3) “Lasciala! Essa si proponeva di conservare questo (profumo) per il giorno della mia sepoltura”. Così preferisce X. Léon-Dufour che aggiunge ‘per questo non era stato venduto’.

Possiamo ancora notare che, come Luca lega in qualche modo l’episodio di Marta e Maria al prossimo bisognoso, così Giovanni fa in questo momento.

Qui, come là, in realtà non si tratta di alternativa, ma di due aspetti che vanno gestiti secondo la priorità del momento: è il discepolo che non sa seguire il Signore, Giuda, che vorrebbe contrapporre il Signore al povero bisognoso[26]; per Maria sono tutt’uno. Anche in Giovanni possiamo vedere il discepolato dal cuore diviso (Giuda) e quello dal cuore indiviso (Maria) e ancora una volta il positivo è esemplificato dalla donna, da chi, possiamo dire, è marginale.

Se uniamo gli episodi di Lc 10 e di Gv 12, possiamo cogliere un doppio movimento di apertura, legato alla donna-discepolo: uno di ricezione, di spazio dentro di sé, l’altro di fuoriuscita, di donazione: insieme mostrano una grande libertà interiore per servire senza conflitti, una grande unità interiore; insieme formano il mistero del ‘dare la vita’ custodito nel corpo di ogni donna, ma anche nel cuore di ogni autentico discepolo del Signore. E il discepolato con cuore unificato diventa portatore di una grande carica profetica innovativa per l’oggi e il futuro.

 

 

 

[1] Cf anche Raterio di Verona che la pone, come altri, in relazione con Lia e Rachele: vedi L. Sebastiani, Tra/Sfigurazione, Queriniana 1992, p. 106.

[2] Il simbolo va usato non per definire ma per alludere, far intuire: apre e non chiude. Esempio semplice è la bandiera, come simbolo aperto rimanda a tutti i valori di una terra, se lo si irrigidisce dà adito a nazionalismo fino farlo ricadere nel concreto a razzismo.

[3] Una esemplificazione sono i dipinti fine 400 nel Monastero della Beata Angelina a Foligno che presentano la sequenza: Marta in cucina pulisce il pesce, scena di Lc 10 in cui però Gesù entra in casa con gli Apostoli, segue l’ultima cena.

[4] Ancora nella lettura dell’evangelo secondo Luca di X.Léon-Dufour la Maria di Betania che piange Lazzaro è la stessa Maddalena che piangerà per l’assenza del corpo di Gesù. Nella Chiesa Ortodossa si è invece mantenuta la differenza tra le varie figure femminili, forse anche perché in essa la distinzione tra contemplazione e azione è diversa ed esemplifica più tappe diverse di un cammino spirituale che stili di vita diversi.

[5] Si è rimandati alla questione delle fonti: le novità lucane focalizzano l’attenzione su Gesù; nel nostro testo, per esempio, c’è un ‘entrò’ al singolare che colpisce perché Gesù non è solo nel cammino.

[6] Cf. At 6,1-6 dove gli apostoli delegano altri per il servizio delle mense per non trascurare la Parola e l’annuncio.

[7] La diaconia e il verbo corrispondente sono usati per la suocera di Pietro e per le donne che sono con Gesù (Lc8,3 e Mc15,41), ma in fondo in Gv 11 per Marta è una diaconia in relazione alla fede, va a chiamare la sorella, così come poi accade nella chiesa delle origini con donne che accolgono gli evangelizzatori e le stesse riunioni. Gesù che si presenta come colui che non è venuto per essere servito, ma per servire da spessore di significato a questo vocabolo.

[8] Cf. il discepolato sia in A.T. (molti sono gli esempi) che in N.T.

[9] Luca aveva ricordato, anche se con meno pregnanza di Marco, il vedere del centurione. In GV 19,37 troviamo “ guarderanno a colui che hanno trafitto” che rimanda a Lc12,10.

[10] In Galilea si era più liberali. Nel Talmud si racconta che un Rabbi di origine Galilea chiede in Giudea indicazioni sulla strada  da percorrere a una donna e questa stessa lo rimprovera “stupido Galileo … ” (cfr. storia di Beruria, moglie di Rabbi Meir).

 

[11] E’  la stessa espressione usata dai discepoli davanti alla tempesta in Mc 4,38.

[12] Cf. A.T. Gen22,1 (Abramo); 46,2 (Giacobbe); 1 Sam3,10 (Samuele) e anche in Lc22,31 (Simone); At 9,4 (Saulo).

[13] Preoccuparsi-preoccupazione, in Luca sono parola e tema che ritornano: è     uno degli elementi che soffocano i semi nella parabola del seminatore (solo in Luca), c poi Luca insiste, in parallelo con Mt/Mc, sul non preoccuparsi della propria difesa e della propria vita e sull’abbandonarsi al Signore (Lc 12,11.22.25.26) e ancora sulla necessità della veglia per non essere presi da affanni 21,34 (ancora solo Luca).

Di fatto, ogni volta che una preoccupazione troppo viva ci distrae dal nostro vero essere, pur restando noi stessi, non siamo più ‘in noi’, ci perdiamo di vista e ci dedichiamo solo a ciò che ha suscitato la preoccupazione: era questo già il senso del verbo “distrarre/essere assorbito da” usato al v. 40, a tale verbo si rifà l’espressione usata da Paolo in riferimento alla verginità – l Cor 7,32).

La vera accoglienza è attenzione alla persona e non preoccupazione per gesti di accoglienza forse neppure graditi.

[14] E’ tema ben presente anche nell’A.T. cf per esempio Deuteronomio 10,12,8,3;30,20; ecc.

[15] Il comparativo non esiste in ebraico, lo si deduceva dal contesto: ci sono diversità nei manoscritti, ma qui non è necessario, è forte l’aggettivo.

[16] Si è rimandati all’esperienza levitica. Per i rabbini la parte buona sarà lo studio della torah.

[17] Resta il dato esperienziale che tra donne esisteva ed esiste un certo spirito concorrenziale proprio a proposito delle relazioni, che creava e crea difficoltà ad affrontare la realtà che si vede con occhi diversi.

[18] Il verbo greco usato per ‘scegliere’ in Lc (vangelo e Atti) compare sempre in relazione alle persone, è il verbo usato per Gesù che sceglie i dodici e quindi orienta a identificare  la cosa necessaria, la parte buona con la persona di Gesù.

[19] Questo due a due era anche legato al fatto che una testimonianza era valida solo così, e doveva essere di due uomini (cf. nella trasfigurazione Mosè ed Elia; presso la tomba in Lc24,4 e nell’ascensione in At 1,10)

[20] Anche qui come per le due donne potremmo dire uno in piedi e l’altro no, anche se vengono così raffigurati senza che il testo lo dica: gli ebrei erano soliti pregare per lo più in piedi.

[21] Una infinita rete di consonanze si trovano sia leggendo i commenti ai testi di Lc che i tanti testi dedicati alle figure femminili, ormai troppi per essere elencati in una lettura spirituale, ripresa ora ma risalente a tanti anni fa.

[22] Cf commento di Luciano Manicardi.

[23] I re e i sacerdoti venivano unti, ma anche gli ospiti di riguardo: cfr. Sl 23,5; Sl 133,2; Qo 9,8).

[24] E’ gesto accompagnato da una nota scandalosa come lo sciogliere i capelli in pubblico (il contesto in Luca rimanda però alla relazione tra peccato – perdono – amore che, almeno in parte, giustifica questi gesti).

[25] Nel mondo greco almeno lo aveva, così facevano le prefiche: nel mondo ebraico credo sia testimoniato per le donne solo il lamento, mentre gli uomini si radevano, ma siamo ormai in ambiente ellenistico e i costumi ebraici e greci interferivano.

[26] In realtà l’ebraismo stesso distingueva tra elemosina e opera d’amore in cui  la persona stessa era coinvolta, cogliendo la diversità qualitativa dei due gesti.