Giuseppe e Zaccaria: due silenzi convergenti
Il silenzio che nasce dal dubbio che non fa trovare parole adeguate e il silenzio che nasce dalla fede che non ha parole di fronte all’impossibile sono convergenti nel mostrare nel nostro quotidiano esperienze che vanno oltre le proprie situazioni esistenziali e le assegnano un compito nuovo.
Le situazioni esistenziali di Giuseppe e quella di Zaccaria sono ben diverse, diversi i luoghi, diversa la posizione sociale, diversa l’età, unico legame Maria.
La storia della salvezza si rende visibile così, ma nel segreto si attua per tutti proprio così, per coloro che poi sanno darne testimonianza e per coloro che sembrano non saperne nulla: “il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito.” (Gv 3,8).
Zaccaria è visitato dal Signore dentro un rito usuale al tempio, anche se ai singoli sacerdoti poteva capitare a sorte (che si può intendere “per volontà divina”) anche solo una volta nella vita; un rito solenne quello dell’offerta dell’incenso perché portava davanti al Santo dei Santi, il luogo più segreto del tempio, il luogo della Presenza; un rito pieno di emozioni per il sacerdote di turno che si concludeva con la benedizione del popolo in preghiera in nome del quale il sacerdote lo compiva: il popolo fuori, lui solo dentro.
Ecco che a Zaccaria succede che l’incontro personale ed intimo con il Signore prevale sulla sua funzione e dà luogo a qualcosa di indicibile a contrasto con quanto di pubblico doveva celebrare e, infatti, uscendo, non può pronunciare la benedizione: il popolo in attesa si meraviglia, ma intuisce l’accaduto.
Quando Zaccaria vede l’angelo “si turbò e fu preso da timore” (Lc1,12): la visione è inaspettata e ancor più sconvolgente è il messaggio che l’angelo dirà poi“lieto annuncio” (Lc 1,19). Non solo gli è detto che avrà un figlio, mentre ormai, per l’età sua e della moglie, non credeva che gli potesse più essere donato, ma gli è annunciato che tale figlio sarà colmo di Spirito Santo dal seno materno, consacrato e posto tra i profeti (Lc1,17); sarà un figlio che non seguirà la strada del padre, ma sarà in altro modo per il popolo quella benedizione che Zaccaria non potrà dare.
Noi sottolineiamo il dubbio di Zaccaria, ma non c’è proprio da meravigliarsi che resti senza parole e senta fin nelle viscere il contrasto tra il rito del tempio e quella visione a lui solo destinata, un conflitto simile a quello di Abramo quando gli viene chiesto di sacrificare Isacco. Forse quando vede o sente l’incontro tra Maria ed Elisabetta, vorrebbe dire qualcosa, ma sa attendere che le due donne vivano la loro esperienza dell’inaspettato, e forse il suo pensiero va al giovane Giuseppe la cui attesa è ancora lunga: il silenzio di Zaccaria si fa attesa e protezione dei disegni di Dio.
Giuseppe già sapeva o ancora doveva accogliere il mistero in cui il Signore lo aveva coinvolto? Possiamo fare tutte le ipotesi, ma quanto sentiva a riguardo di Zaccaria ed Elisabetta lo disponeva a non pretendere di capire tutto: se non poteva leggere dentro gli eventi un sacerdote, cosa poteva afferrare lui umile lavoratore?
Zaccaria proromperà in un inno di benedizione, Giuseppe preso dalle incombenze concrete come custode di Maria e di Gesù, lo avrà fatto nel cuore segnato dal timore e dalla fede nel Signore e in Maria. Il silenzio della fede è più profondo ed intimo di quello del dubbio e può durare una vita intera, perché come si compie la storia di salvezza nei singoli è proprio un mistero che può lasciare senza parola, senza che ne emerga una benedizione o una lode solenne.
Noi raccontiamo la vita di tanti credenti, anche con mille particolari, ma c’è una scintilla segreta che neppure l’interessato/a saprà mai dire se non per cenni: per tutti l’incontro col Dio vivente è avvolto nel silenzio, nell’oscurità, nell’esitazione timorosa, ed è sempre al di là delle tante immagini di cui possiamo servirci per farlo intuire a chi ha una sua esperienza di fede, e sa stare, come il popolo davanti al tempio, in rispettosa e fiduciosa attesa.
Anche Maria, lo sappiamo, dopo l’incontro con Elisabetta che la conferma e le fa cantare il magnificat, custodisce gli eventi nel segreto del proprio cuore (Lc 2,19;51).
Promessa e attesa
Promessa e attesa si incrociano nella presentazione al tempio, così come ce la narra Luca.
L’anziano Simeone si reca al tempio, accoglie tra le braccia il Bambino Gesù e, nello Spirito Santo, sa che sta compiendosi la promessa, che l’attesa della consolazione di Israele giunge a un punto chiave: in Gesù Israele sarà luce e salvezza per tutte le genti.
Il giovane Giuseppe accompagna il bambino e la madre, e con l’animo sospeso assiste agli eventi che, possiamo dire, in qualità di custode e sposo avrà preparato con quel cuore grande che lo caratterizza. Come già era andato oltre la giustizia usuale accogliendo il mistero di Maria, anche qui i riti che riguardano il primogenito e la puerpera sono particolari, vanno oltre i doveri, legano madre e figlio come poi esplicita Simeone, ma quel legame era ancor più chiaro nel cuore di Giuseppe.
La circoncisione in obbedienza al precetto mosaico e alla assegnazione del nome Gesù (Dio salva) fatta dall’Angelo trovano al tempio un oltre.
Né la madre né il figlio avevano in realtà bisogno di purificazione e riscatto, ma i poveri di Israele che attendevano il Messia dovevano accoglierli a nome di tutto il popolo e passare il testimone dell’attesa alla giovane coppia che doveva custodire il figlio di Dio chiamato a portare, a compimento l’attesa del suo popolo, svelandone i cuori: quel figlio chiamato a riempire il vuoto del tempio con una presenza divina fatta carne, che svela come l’amore del Padre raggiunga tutti dovunque “luce delle genti”.
Simeone, ed Anna, un uomo e una donna, sono, nel tempio, i testimoni, come in fondo Zaccaria, di una benedizione che si concretizza in un evento e rende tastabile la promessa. Simone accoglie nelle braccia il bimbo, ricorda la caduta e la resurrezione di molti, la contraddizione che rappresenta per quanti attendono un dio ben diverso; Anna, vedova da tanti anni esprime l’attesa che riempie il vuoto di un tempo passato a pregare e servire il Signore dei poveri. A Giuseppe non resta che mettere dentro il cuore quanto vede e sente dagli anziani: per lui tutto resta stupita attesa.
L’incontro tra generazioni dovrebbe sempre avere questo respiro: essere per gli uni il passaggio dall’attesa alla promessa, anche solo in piccoli segni di una vita che continua, e per gli altri dalla promessa all’attesa di qualcosa di ancor più grande, sogno e visione, luce e sapienza di tutti popoli, di secolo in secolo, “la conoscenza del Signore riempirà la terra” (Is 11,9).