“…su un monte grande e alto…”(Ap 21,10)

 

Non senza l’uomo e la donna

 

Erano già  diversi giorni che fratel Maurizio e padre Giovanni aspettavano che smettesse di piovere, per andare a fare il consueto giro di compere che periodicamente facevano per assicurare al Monastero le cose necessarie che non erano producibili all’interno: i monaci cercavano infatti di essere il più autosufficienti possibile. Non amavano andare in giro, ma certe cose erano proprio necessarie. Non era neppure comodo muoversi, vivevano in cima ad una montagna, relativamente lontano da centri abitati a livello di Kilometri, ma lontanissimi come stile di vita e la strada di accesso rendeva subito questa idea.  In compenso avevano la possibilità di offrire al proprio sguardo solo alberi e cielo, oppure di sporgersi sulla vallata per abbracciare un davvero vasto orizzonte di mondo, data l’altezza a cui si trovavano: questa incantevole visione di fatto era anche il loro unico modo (i più non erano scesi da anni) per ricordarsi attraverso i sensi del legame con i loro simili e di cogliere che il mondo cambiava anche visibilmente (strade, ponti, luci nuove…..).

Avevano scelto di vivere una profonda austerità di legami, per cui avevano tenuto lontano ogni mezzo di comunicazione invadente, ogni curiosità  e, come rare erano le loro discese, così rare erano le salite di altri al loro monastero. E poi, anche chi vi si recava, si ritrovava subito “preso” dal distacco dal mondo che lì si respirava e subito finiva per tacere e fare i gesti e i lavori  che vedeva fare dai monaci, una ventina di diverse età. In verità vi era una radio, ma mai a nessuno veniva in mente di accenderla ed era così per il telefono abbandonato in un angolo.

Per le discese vi era una vecchia auto su cui caricare le cose: ogni volta  sembrava che fosse l’ultimo viaggio che potesse affrontare, ma la lunga pausa di riposo e la cura con cui veniva preparata per la partenza, la facevano ogni volta ripartire e compiere la sua missione: si cercava , vista la strada, di scendere con il bel tempo, quando era più agevole  caso mai  fermarsi a togliere ostacoli per lei troppo gravosi.

Ma questa volta il cielo non offriva speranze e certe cose stavano diventando urgenti per cui fr. Maurizio e p. Giovanni decisero di scendere lo stesso, coprendosi bene e armandosi di pale e altro per liberare la strada.

La spedizione non fu certo agevole e anche in paese l’elenco dei disagi che la gente raccontava non aveva fine e le notizie da altre parti del mondo non erano molto diverse. Alla pioggia fine fine, ma continua, succedeva un temporale con forte vento, lampi, tuoni  e poi ricominciava la pioggerella ininterrotta. Così fu anche quel giorno,  comunque i due monaci riuscirono a procurarsi le cose più  necessarie  e fecero anche un incontro particolare con tre giovani che si mostrarono decisi a salire al convento da lì a qualche giorno, perché incuriositi, attirati  da quella realtà.

  1. Giovanni consigliò loro di aspettare il sole quando l’incanto della natura compensa certi disagi. I giovani erano decisi a non lasciar passare molti giorni e di fatto qualche giorno dopo, ancora sotto la pioggia, i tre giunsero al convento inaspettati, perché, visto il clima, né fr. Maurizio né p. Giovanni avevano accennato agli altri dell’incontro e delle intenzioni dei giovani. Si affrettarono a tirar fuori la proverbiale accoglienza monastica e a preparare una stanza di solito vuota. I giovani si inserirono subito nel ritmo della vita lassù ed erano davvero interessati a questo mondo insospettato, ma il tempo peggiorava, peggiorava. Non c’era più la luce, ma i monaci c’erano abituati, sembrava ovvio lassù: anche di giorno, nei momenti migliori riuscivano solo a vedere che tutta la vallata era sotto una nube.

I tre giovani cominciarono ad essere inquieti e non sapevano se restare o tornare a casa. P. Giovanni capì e si ricordò del telefono e la comunità unanime decise che era il caso di usarlo. Funzionava ancora e i giovani seppero che giù le cose andavano sempre peggio, ma proprio per questo, in tutte e tre le case,  la risposta fu unanime “restate dove siete! per favore non mettetevi in viaggio, non si muove più nessuno, non servirebbe, aspettate!”. E così i tre si fermarono,  si rimisero dentro il ritmo monastico, ma non potevano fare a meno di guardare  spesso giù., verso l’oscurità della valle: ormai anche il telefono taceva.

Finalmente una sera sembrò schiarire, si vedevano le stelle, ma giù nella valle nessuna luce, neppure di un auto, di un fuoco….tutto era buio. Luca che era il più agitato dei tre, aveva una sensazione strana, ma preferì non dire nulla…

Alle prime luci del giorno, come se si fossero dati appuntamento, si ritrovarono per primi i tre giovani, ma poi quasi tutti i monaci, a spiare cosa sarebbe apparso nella valle. Luca capì che anche gli altri, i monaci stessi che sembravano solo immersi nel loro ritmo di vita, avevano il suo stesso dubbio che si rivelò fondatissimo. Ai loro occhi apparve quasi solo acqua e acqua che stava abbassandosi e quindi che era stata ben più alta. Si guardarono e contemporaneamente pensarono “bisogna andare a vedere cosa è successo”. I giovani sarebbero partiti immediatamente, i monaci li fecero ragionare, bisognava vedere prima se era possibile….la strada, l’auto e poi ….

L’auto non volle partire in nessun modo e nessuno aveva la serenità per lavorarci con calma e rimediare. I giovani ovviamente erano pronti ad andare a piedi come erano venuti, i monaci non vollero lasciarli andare da soli: fr. Maurizio, abbastanza giovane e forte si offrì ad accompagnarli, tanto più che era il più esperto in uscite.  Presero quanto poteva essere necessario e partirono, mentre gli altri riprendevano il ritmo di preghiera, perché il Signore li  aiutasse a capire un momento così duro…. Si era forse di nuovo stancato degli uomini?  Eppure aveva promesso che non sarebbe più capitato e poi, in quella vallata, la gente  era buona e credente, anche se non molto praticante.

I quattro , appena intrapresa la strada, compresero che comunque l’auto non sarebbe servita, era già difficile a piedi riconoscere il tracciato tra i solchi scavati dall’acqua. In alto splendeva il sole, ma si doveva stare con gli occhi  fissi a terra, per cui neppure gli si badava. Luca in particolare  alzava gli occhi da terra solo quando si poteva guardare verso la valle. Si vedeva ogni volta qualche tratto in più, ma tutto era fango e mescolanza di cose. Man mano che si avvicinavano al paese Luca aveva una gran voglia di piangere e fermarsi e gridare “E’ inutile!”. Marco continuava a ripetersi “Non è possibile, i giorni passati lassù ci hanno dato alla testa e abbiamo visioni strane….”. Andrea riusciva a non pensare a nulla e apriva il varco agli altri, come se questa operazione  fosse l’unica realtà esistente.  Fr. Maurizio si appoggiava alla sua consuetudine  di ripetere senza  interruzione “Signore Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di  noi!”  e neppure si accorgeva della variazione fatta, non diceva “di me”, ma “di noi”, un noi che abbracciava il mondo.  Erano ormai prossimi al  paese, la casa più vicina, di quelle dei tre amici, era quella di Andrea che invano tentava di correre nel fango passando su oggetti di tutti i tipi. La trovò come quelle che già avevano superato mezzo distrutta e vuotata dalle acque: .solo qualche oggetto conosciuto, nessuna traccia di viventi. Si lasciò trascinare avanti come un automa, ma lo stesso fu nelle case degli amici e, finalmente se ne accorsero,  così era tutto il paese.

Fr. Maurizio, meno coinvolto personalmente, aveva già osservato tutto  e pensato che i corpi dovevano essere stati portati via dalle acque: solo se qualche porta avesse resistito ….pensò a certi uffici, alla centrale, alla posta  e, mentre  i tre amici stavano muti abbracciati,  vi si diresse: la porta era a terra ma la stanza dei computer , dei fax  ecc. era chiusa, dentro dai vetri si vedeva  una grande confusione. In un angolo un vetro era rotto, riuscì a entrare e trovò qualche messaggio che ancora si poteva leggere “Distrutta la città di ….” ,”travolto dalle acque il paese di…” , “sta per cadere la città di…”.

Lo avevano intanto raggiunto i giovani e lo guardavano in silenzio come se potesse illuminarli. Andrea gli chiese “hai trovato qualcosa?” e lui  rispose “No,- non voleva rendere loro la cosa ancor più dura – forse è meglio che torniamo al monastero e pensiamo con gli altri cosa fare..  Andrea  si guardò attorno e quasi urlò “troviamo un fuoristrada! “(in paese se ne usavano molti) e subito si mise in movimento, provò la prima  auto non distrutta che trovò su un muretto, ma nessun cenno fece il motore; non si arrese  e finì per trovare ciò che cercava, aveva anche il pieno! trafficò e riuscì a farla partire; gli altri contagiati da lui avevano preso alcune cose utilizzabili, le caricarono e tentarono di aprire la strada all’auto, ma dovettero arrendersi….si faceva buio: bisognava attendere e venire giù tutti. Presero poche cose e risalirono in silenzio e neppure loro capivano chi desse loro la forza: quasi non ci si vedeva più e fr. Maurizio temeva che i giovani venissero presi dallo scoraggiamento, quando Luca esclamò: “ Siamo degli eletti….perché il Signore ha salvato proprio noi, facendoci venire al  Monastero? Quale è il mistero della nostra vita?” . Ed ecco comparire con una torcia fr. Raffaele che era sceso per un tratto, proprio nell’evenienza che avessero tentato di tornare  col buio e così,  raccontando,   si arrivò al monastero.

Anche lì, dopo la preghiera, la giornata era stata movimentata: fr.  Ettore aveva tirato fuori tutti i suoi ricordi di tecnico  per usare in tutti i modi telefono e radio e perfino una vecchia trasmittente trovata nel magazzino delle cose inutilizzate, ma non era riuscito a captare neppure un rumore, nulla.

Mentre la maggioranza dei monaci ascoltava i giovani, li rifocillava, faceva loro sentire calore in tutti i sensi fino a riuscire a farli dormire, fr. Maurizio aveva già capito cosa aveva tentato fr. Ettore e subito comunicò a lui le sue scoperte alla posta. Poi la comunità si riunì per interrogarsi sul che fare e tutti furono messi a conoscenza dei sospetti di fr. Maurizio e fr. Ettore: secondo loro nella zona era rimasto solo il monastero e i suoi abitanti, ma quanto si estendeva questa zona? Non poteva essere piccola dai nomi trovati alla posta e dal silenzio della radio !  “ E se fosse stato tutto il mondo?”, azzardò p. s un anziano di solito sempre silenzioso.  Gli altri lo guardarono meravigliati  e lui continuò  ““forse il  monastero delle monache di Cima serena , che sta più in alto del nostro, si è salvato,  è un monastero molto autosufficiente, e, se  le sorelle non si sono mosse come abbiamo fatto noi …”  E uno degli altri  “Ma come saperlo? senza luce, telefono, posta, strade?”  E p. Giuseppe “Posso tentare di mandare uno dei miei piccioni, chissà?  Non sono più abituati, ma…” E gli altri  “Mandalo, un piccione in  più  o uno di meno non ci risolve nulla, .ma dobbiamo fare di più!”.

  1. Giovanni prese la parola e sintetizzò : “Tirate fuori tutti i vostri saperi e datevi da fare: chiunque ha fiato scenda a sistemare la strada perché si possa recuperare dal paese quanto si può salvare, ma soprattutto perché si possa tentare di far funzionare qualcosa: tu p. Serafino non avevi lavorato in una centrale elettrica?  Certo si tratta di tanti anni fa, ma puoi tentare, forse ci sono dei libri…..”.

E così  si divisero i compiti ed iniziò un lavoro febbrile,  in cui i giovani al risveglio si trovarono subito coinvolti.

Lavorarono sodo parecchi giorni. Il piccione partito non tornò, ma p. Giuseppe ebbe un’altra proposta “Lasciatemi  partire, io so fare poco, posso invece camminare, ormai tutto è secco e io so la  direzione, mi so orientare, ho camminato tanto in gioventù e  so arrangiarmi e poi…se non torno pazienza! sarà la volontà di Dio. Vi prego lasciatemi partire!”. La comunità esitò: certo era una speranza: prima che  potessero fare una cosa simile in auto forse ci sarebbe voluto più di un anno  e chissà non fosse una intuizione buona, una chiamata.  P. Giuseppe insisté e lo lasciarono partire, anzi fr. Maurizio lo accompagnò  in auto per il breve tragitto che erano riusciti a sistemare  e si fece spiegare dove si trovava quel monastero,  caso mai… Prima o poi dovevano pur muoversi, riuscivano per ora ad attingere   benzina da uno dei serbatoi del paese rimasto intatto, ma dovevano cercare altre fonti.

Mentre loro lavoravano senza che succedesse niente di particolare, p. Giuseppe  camminava, camminava  non senza difficoltà, ma con tanta pace nel cuore: prima di partire si era sentito ispirato a dire (non sapeva neppure lui il perché) ai tre giovani: “ Vedrete che presto capirete perché il Signore vi ha portato al monastero…..”, e ora lo andava meditando. Era ormai uscito dalla zona vedibile dal monastero, ma il panorama non cambiava, ovunque era passata la furia delle acque, ma talvolta nei posti più impensati  riusciva a trovare  una scatoletta chiusa, per  nutrirsi risparmiando quanto si era portato: avrebbe voluto solo avere più energie  per correre di più. Il bel tempo però lo aiutava e prima ancora di quanto pensasse si trovò nel luogo  in cui si vedeva, anche se da molto lontano ancora, il monastero che cercava. Non ci vedeva molto bene ed era anche un po’ sordo, non poteva quindi ancora dire di cogliere segni di vita, ma qualcosa lassù c’era . Dopo altri giorni di cammino  gli parve di sentire il  suono di una campana, restò dubbioso fino all’altra ora canonica, quando al nuovo suono si sentì invadere da una gioia immensa! Si ritrovò le ali ai piedi, ma poi  dovette rendersi conto che non era facile arrampicarsi fin lassù e che doveva aver pazienza e riposare, se voleva arrivarci vivo. Fu dolce il risveglio al suono della campana: pregò pieno di gratitudine e si  rimise in cammino.

Anche  al monastero “Cima serena” si lavorava alacremente per sopravvivere e ogni tanto si scrutava la valle. Nessuna sorella si era mossa,  erano abituate che prima o poi qualcuno saliva, dava notizie e chiedeva dei loro bisogni per provvedervi lui stesso o attraverso altri che sarebbero passati a chiedere preghiere o a confidare una pena. Avevano capito che era successo qualcosa di grave, ma ancora aspettavano fiduciose, pur  trovando ogni giorno più strano questa assenza di presenze umane.

Suor Maria fu la prima  a scorgere qualcosa che si muoveva giù in basso: corse a dirlo alle altre e tutte si radunarono, erano quasi una trentina. Vennero fuori anche le più anziane  e rimasero a scrutare quel tanto che rimaneva della strada che permetteva di intravedere il pellegrino che saliva a piedi.

Ad un certo punto un’anziana, Suor Anna esclamò “E’ p. Giuseppe!”  “Come fai a dirlo, se ancora non si distingue?” disse una più giovane. E la sorella “Ci siamo  conosciuti bene in gioventù! riconosco i movimenti, la sagoma e poi il cuore non tradisce…”. Un’ondata di serenità percorse il gruppo, dopo tanti giorni che ognuna cercava di nascondere la propria ansia alle altre, non erano più abbandonate! La Madre non aveva lasciato partire neppure le più giovani, forti e intraprendenti, aveva imposto di aspettare, anche se lei stessa doveva fare non pochi sforzi   per controllarsi e avere fiducia. “Prima o poi qualcuno verrà a darci notizie” , ripeteva  come se fossero solo alcuni giorni che non vedevano nessuno. All’idea che fosse un amico il primo ad arrivare dopo tanto tempo -anche lei, seppur più giovane, conosceva p. Giuseppe – le vennero le lacrime agli occhi, ma  tentò di dominarsi e di dire con l’atteggiamento “vedete che…”.  Suor Anna non ce la fece più e prese la strada, nessuna tentò di fermarla, si sentì solo un “attenta a non cadere!” e  si vide una giovane seguirla per aiutarla.

Così Suor Anna fu la prima ad abbracciare p. Giuseppe e non si sa chi dei due piangesse di più, anche se Suor Anna non capiva come fosse ridotto così  e non coglieva il senso delle domande a raffica che lui le faceva “Siete tutte vive?”, “Come siete sopravvissute?”.  Finché p. Giuseppe non capì che lei neppure immaginava quanto era successo e se la cavò con un poi ti spiegherò; chiese solo se non era arrivato -fece i conti- più di due mesi prima un piccione. Suor Anna rispose di sì, si erano meravigliate perché non era capitato mai, lo avevano messo con gli altri. P. Giuseppe capì che doveva aver messo male lui il messaggio, comunque era contento, poteva così avvertire i suoi fratelli!

Arrivato al Monastero fu  accolto da mille domande, rispose  quanto più genericamente potè e chiese, non di riposare e ripulirsi, ma di restare solo con la Madre e di avere il necessario per scrivere e  quel piccione.  Non capivano, ma obbedirono. Lui scrisse e inviò il piccione, mentre la Madre lo osservava attentamente, prima con sempre più domande in testa, alla fine con una sola “Siamo rimasti noi soli?” che venne fuori a interrompere il silenzio. P. Giuseppe si sentì facilitato e raccontò l’essenziale dell’accaduto e di quanto stavano facendo i fratelli per aprire subito l’animo alla speranza: ora avrebbero potuto coordinare gli sforzi. I due  si chiesero poi come avvertire le sorelle e decisero che p. Giuseppe avrebbe parlato nella celebrazione che tanto attendevano. E così fu, appena p. Giuseppe si fu rimesso in ordine: tutte restarono come pietrificate, ma p. Giuseppe seppe trovare le parole per fare breccia nei cuori, non ci si poteva fermare, occorreva chiedersi cosa il Signore volesse da loro, non erano lì per quello? Non avevamo già lasciato  tutti gli affetti nelle mani del Signore? Ora il sacrificio era completo, ma il Signore restava il Signore….

Non c’è bisogno di dire la gioia dei monaci e dei tre giovani al vedere una mattina arrivare il piccione, lo riconobbero subito. Già il fatto che fosse vivo  era buon segno, poi che portasse quel messaggio di p. Giuseppe era davvero stupendo.  In tutto quel tempo avevano fatto il nome di p. Giuseppe nella preghiera, ma non ne avevano mai parlato tra loro, per non alimentare false illusioni  o previsioni nefaste. La notizia portò una carica nuova, ora sì avevano  un buon motivo concreto per cui lavorare: occorreva far di tutto per rompere l’isolamento e incontrarsi !

Ci volle molto tempo, molto lavoro, molta iniziativa, ma alla fine si arrivò a incontrarsi tutti/tutte presso il monastero femminile.  Solo due monaci anziani si erano offerti a restare per quelle cose che non si potevano lasciare senza danno (animali da custodire, annaffiare…), non ci si poteva permettere perdite. Il gran lavorare  aveva lasciato in disparte i grossi problemi che si annidavano nel cuore di ognuno/a.

Oramai era chiaro  che non vi erano  più altri nel mondo raggiungibile, era come essere in un nuovo pianeta e che vi era una grossa decisione da prendere: vivere nella fedeltà la loro vita monastica e lasciare che fosse la fine del mondo o….

Dei tre giovani, in realtà solo Luca che aveva trascinato con sé gli amici era salito al monastero con tale intenzione nel cuore, ma poi anche gli altri avevano vissuto come se non ci fosse altro da fare.

Delle Monache tutte erano lassù per la vita monastica, anche se  cinque erano al monastero da non molto tempo ed erano ancora novizie ( o meglio il tempo del noviziato era finito, ma la situazione non  ci aveva fatto pensare).

  1. Giovanni più di tutti sentiva la responsabilità : forse più di tutti si era posto il problema e lo aveva meditato alla luce dell’episodio della venuta dei tre giovani, della intuizione di Luca (siamo degli eletti…) e di p. Giuseppe ( saprete perché…); consultò la Madre e poi riunì tutti/tutte e pose solennemente la questione  e chiese a tutti /tutte di dare , dopo aver pregato, un duplice risposta:

-una oggettiva, su quale lettura facevano della vicenda: il Signore aveva già voluto la fine o lasciava a loro la libertà di decidere?

-una soggettiva: personalmente sentivano più forte il dovere della fedeltà alla scelta compiuta o quello di riaccendere la fiaccola della vita? cosa chiedeva a ciascuno il Signore?

Raccolte le risposte p. Giovanni fu commosso dal  ritrovare tutti concordi  sul fatto che il Signore lasciava a loro  la libertà di decidere  per la fine o un nuovo inizio e  ancor più grande fu lo stupore che i più  giovani  ( chiaramente i più  anziani ponevano accanto alla fedeltà il motivo dell’età), tutti/tutte, si dicessero a favore della fedeltà, pur aggiungendo che erano però disponibili, se altri non lo volessero, a formare una coppia, perché la vita trionfasse,  perché il Dio che loro avevano scelto di servire era il Dio vivente, rispettoso della libertà dell’uomo. I più titubanti erano Andrea e Marco che ammettevano di capirci poco, trovandosi tra monaci e monache semplicemente non ci avevano pensato più, e con loro fr. Maurizio che, nonostante parecchi anni di vita monastica, si sentiva fortemente interpellato dalla nuova situazione, oltre a provare una viva simpatia per una novizia.

Le sorelle più giovani, con molta semplicità, accanto alla disponibilità avevano posto il nome di chi poteva esserne il destinatario. Fu così facile a p. Giovanni , tirate fuori le simpatie di Andrea e Marco, tirare le fila e presentare alla comunità le tre coppie, Maurizio e Sara, Marco e Raffaella, Andrea e Susanna, e Luca  come nuovo monaco: oltre che essere un tecnico, aveva studiato teologia  e poteva essere ordinato Sacerdote perché ce ne fosse uno più giovane.  Le coppie con p. Giuseppe avrebbero vissuto con le sorelle che avevano più  spazio e che con l’aiuto maschile potevano essere del tutto autosufficienti: i monaci avrebbero avuto l’aiuto di Luca e saltuariamente di Maurizio che sapeva bene le loro necessità  e a lui non dispiaceva certo far da legame. E così pian piano tante cose ricominciarono… e il Signore gioì che i suoi figli avessero avuto il coraggio di  una scelta secondo il suo cuore e li benedisse.