Un segno escatologico “femminile

 

“Ed ecco anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio” : a queste parole dell’angelo Gabriele è strettamente legato l’episodio che noi chiamiamo La Visitazione e da esse non va assolutamente slegato, altrimenti se ne fa quasi un fioretto di Maria, mentre in Luca ha un alto valore teologico, serve ad indicare che il tempo della salvezza è arrivato.  Maria non ha chiesto  un segno come a volte fanno i chiamati nell’A.T. ma un  segno le è stato dato, perché il segno non è una prova scientifica o tecnica per convincere, ma sempre un qualcosa che va vissuto e anticipa quanto di più grande avverrà. A Maria (ma in fondo anche a Elisabetta) è dato un segno tutto femminile che raccoglie tutte le vicende di sterilità che percorrono la storia della salvezza da Sara in poi e dà loro lo spessore di preparazione di qualcosa di più straordinario, una maternità verginale. E Maria non può non partire “in fretta” per cominciare a vivere quanto l’angelo le ha indicato. Tutto il vocabolario (l’alzarsi che si perde nella traduzione, il viaggio, la fretta, il saluto, la gioia, la stessa presenza del nome dell’angelo) indica che è vicino il tempo messianico della visita di Dio che le varie apocalissi giudaiche del tempo facevano considerare  imminente, tempo la cui attesa Luca sottolinea con le figure di Simeone ed Anna. Maria visitata dalla potenza dell’altissimo sente come l’urgenza della salvezza e va a trovare Elisabetta a sua volta visitata dal Signore e l’una riconosce ciò che il Signore ha fatto nell’altra, profezia di quanto avverrà tra i loro due figli (cf immagine di Koder  alla fine).

La giovane corre dall’anziana perché solo loro due possono condividere il mistero che le abita, sostenersi l’una l’altra di fronte a una  maternità che non permette loro sogni materni, perché i loro figli sono già esplicitamente segnati da una missione loro affidata dall’Alto, eppure maternità che dà un senso di pienezza oltre ogni desiderio umano. L’anziana  Elisabetta, piena di Spirito santo, come tutti coloro di cui il Signore si è servito per portare avanti il suo disegno di salvezza (giudici, profeti….), interpreta il senso dell’evento e chiama Maria “madre del mio Signore” (Luca le mette sulla bocca già il titolo pasquale) e nel bimbo che esulta nel suo seno coglie l’avverarsi delle parole dell’angelo a Zaccaria (1,14 “Avrai gioia ed esultanza….”) e profetizza la gioia dell’amico dello sposo (Giovanni) di cui si parla nel vangelo di Giovanni (3,29).

Benedetta” e “beata” dice a Maria Elisabetta che si è tenuta nascosta per cinque mesi: sa bene che non è facile una maternità insolita, ma qui ci dice cosa è vero agli occhi del Signore e indica a noi Maria come la donna della fede: a noi risuonano le parole di Gesù “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28), “Mia madre e i mie fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).

E Maria proclamando quello che il Signore fa in lei, allarga lo sguardo alla storia intera, al mondo intero, a come il Signore vi è presente servendosi dell’umile, del debole, del piccolo, del povero, dell’affamato, perché ogni  compimento si attua solo  per la sua misericordia e fedeltà.

La visitazione, come sobriamente suggerisce l’icona,  è scena di riconoscimento del misterioso esserci di Dio proprio nel compito che ogni persona, ogni evento, ogni tempo porta in sé.

E la giovane e l’anziana stanno a dirci anche che non vi è amore più grande che questo rendersi “onore” reciprocamente nella gioia per quello che si compie per gli uomini tutti: c’è urgenza di questo anche ai nostri giorni perché la diversità dei cammini di fede non si perda nella sterilità di inutili confronti, ma renda più viva l’attesa del Regno e il desiderio di salvezza per tutti, perché  si diffonda non la falsa gioia dello stordimento e della dimenticanza, ma quella sobria, tenace, profonda di chi sa che dietro tutto vi è un disegno d’amore, un supremo disegno d’amore che ha reso madre una vergine e fa fiorire, anche ai nostri giorni, il deserto nel segreto di tanti luoghi e di tanti cuori nel mondo.

 

Giuliana Babini