Uno sguardo contemplativo su alcune figure di donne da Gesù incontrate
per crescere nella fede, nella speranza e nell’amore.
Gesù e la donna curva
Luca 13,10-17
Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Lasciamo che il testo ci cali dentro e immergiamoci nella scena.
Gesù ama guarire di “sabato”, il giorno dedicato all’ascolto della Parola in sinagoga. E’ come se gettasse un ponte tra la salute fisica e quella spirituale, contro coloro che non sapevano cogliere l’essere umano tutto intero e gli anteponevano il “precetto”, un precetto che essi si gloriavano di rispettare a modo loro, con tutte quelle aggiunte che lo deformavano da “aiuto” per vivere bene in “peso”.
Gesù insegna ad anteporre la pienezza di vita e lo insegna con uno dei suoi segni che non solo sanano, ma reintegrano le persone nel tessuto loro vitale e sociale.
Una donna curva è una persona che non guarda che per terra davanti a sé, non ha neppure intravisto orizzonti diversi, è curva da 18 anni e il numero – 3×6 (pienezza del limite umano) – sta da indicare tutta una vita umana con tutto ciò che la ha piegata.
Le donne non sono una presenza vitale in sinagoga, ma molto marginale: come mai è lì? per abitudine? c’ è stata portata? ci si è trascinata con la speranza di un briciolo di sollievo da parte del Signore? Non sappiamo, non dice nulla, è lì.
Una infermità, una debolezza, una fragilità la rende curva, ma il termine può indicare molte cose che si oppongono alla “vita”, forse anche l’essere stimata meno di un bue o un asino.
Spesso anche noi sentiamo ciò che ci abbatte, forse neppure sappiamo darci un nome, forse siamo anche in chiesa, ma guardiamo in basso, a terra e questo ci fa male, perché siamo anche “cielo” non solo polvere.
Cosa ci rende curvi? Un peccato? Una omissione? Una ferita ricevuta o inferta?
“Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia”.
Gesù non chiede di analizzare le cause del nostro essere senza orizzonti, lo vede prima che noi ce ne rendiamo conto pienamente, ci guarda, ci chiama e ci libera.
Fermiamoci a sentire il suo sguardo su di noi, la sua voce che pronuncia il nostro nome e lasciamo che questo sentire raggiunga le nostre profondità, là dove siamo più feriti, e allora risuonerà il suo “sei libera”, “alza lo sguardo”, “ricomincia”, “ raddrizzati” e “rendi gloria a Dio”.
Si rivela così il disegno di Dio a riguardo di ogni creatura e dell’umanità intera, di cui spesso la donna è simbolo nelle Sacre Scritture, di cui Abramo è padre, di cui Satana è nemico, un nemico per un tempo limitato, già sconfitto, perché nel Signore Gesù si rivela l’amore pieno del Padre.
Cosa rende curvi noi? Cosa rende curva l’umanità? Cosa ci impedisce di guardare oltre e sperare?
Occorre stare e mettere tutto ciò che accade sotto lo sguardo vivificante di Gesù e non ascoltare chi brontola e vuole disciplinare a suo modo la forza della vita che invece induce a glorificare soltanto Dio. Non dobbiamo dubitare che il Signore ci voglia dritti e liberi, perché questo per ognuno è sempre per la salvezza e speranza di tutti, di quelli che esultano, ma anche di quelli che si sdegnano.
Possiamo chiedere con intensità: Signore guariscimi, Signore guariscila, pensando a noi e/o a qualcuno che ci è caro, una chiesa, un popolo, l’umanità intera.
E se vogliamo prolungare il nostro dialogo col Signore, possiamo anche guardare al contesto del brano, prima e dopo: con l’immagine del fico sterile, del granello di senapa, del lievito siamo invitati ad una laboriosa, paziente attesa che il fico porti frutto, che il granello cresca, che il lievito fecondi la farina: il Signore ci libera col suo chiamarci, ma solo lentamente porteremo frutti del Regno, a suo tempo.
Gesù salva due donne
Leggiamo con attenzione, anche se il brano può sembrarci lungo, cogliamo analogie e differenze dei due fatti raccontati e forse già sapremo dove va il nostro cuore.
Marco 5,21-43
Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: alzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
La vita è un intreccio di eventi e questi racconti evangelici in cui una storia è dentro l’altra non solo sono dei capolavori narrativi, ma ci aiutano ad entrare nella complessità della vita. Essi ci mostrano come Gesù sia capace di attenzione ad un particolare imprevisto come alla situazione di fondo che lo ha messo in movimento. Nessuno è trascurato. E non fa distinzione di persona, accoglie uno dei capi della sinagoga come una donna, per la sua malattia, “impura”, costretta a vivere separata dagli altri, perché il flusso di sangue, sede della vita che appartiene solo al Signore, la rendeva pericolosa, fonte di timor sacro come tutti i misteri dell’esistenza.
Tutti e due i personaggi, il capo e la donna, sono mossi da “un forte amore alla vita” al punto di aver fede che essa vinca sulla malattia tramite Gesù. Bella questa fede in Gesù-vita (cf Gv 14,6)!
E la mia? E la nostra, è così?
Quando ci siamo lasciati toccare dalla Parola del Signore fino a sentire che la vita scorreva dentro di noi? Quando abbiamo lasciato che Gesù ci prendesse per mano, dicendoci: “Alzati e torna a vivere in pienezza!” Quando ci siamo accorti che nella vita di qualcuno questo è accaduto fin dalla giovinezza e in altri nel cammino di ricerca della via dell’Amore ?
Pietro, Giacomo,Giovanni cominciano qui ad essere educati a cogliere come Gesù sia sorgente di una vita più forte della morte, come poi nella trasfigurazione, nell’orto, nella resurrezione. Sappiamo quale fatica sia per loro, per noi, credere questo.
Chiediamo di saper osare la fede con perseveranza, sapendo che ci accompagna lo sguardo con cui Gesù distingue l’emorroissa tra la folla nonostante l’obiezione dei discepoli, lo sguardo con cui vede la folla urlante e piangente, senza che gli impedisca di guarire la figlia di Giairo.
Non può esserci mai nessun ostacolo, il suo sguardo accogliente ci raggiunge sempre e ci avvolge: sta a noi accorgercene, docili a quanto lui compie.
Ambedue le donne sono chiamate “figlie”, dove non c’è la mediazione umana, subentra Gesù; ambedue sono “guarite e salvate” da Gesù che, trasgredendo le leggi, trasforma il loro corpo segnato dalla malattia e dalla morte in luogo di vita piena: l’una ricomincia a mangiare, l’altra, pur tremante, si è fatta avanti e ha reso testimonianza.
Posso pensare a me, ad una singola persona che mi è cara, ad una famiglia, una comunità (il numero 12 !) che non sa iniziare a vivere l’età dell’amore (la figlia di Giairo) o che si è ammalata lungo il percorso, restando povera, sola, vuota (l’emorroissa), senza trovare sollievo altrove (cure, esperienze, supporti o altro): la vicinanza “toccante” di Gesù sana e rinnova la fecondità nella giovane come nell’anziana.
E’ vinta la morte, ma anche quella morte in vita che è la sterilità di tutti i tipi: forse sono usate proprio due figure femminili, legate dal quel 12, per abbracciare ogni tipo di morte che rende umbratili le persone, anche se ancora sulla terra e rende spente le comunità.
Gesù e la donna straniera
Questo brano del Vangelo ci porta oltre i confini della terra di Israele e dei pregiudizi, per farci gustare la libertà di Gesù e un cuore mosso da un unico forte desiderio.
Marco 7,24-30
“Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.”
Gesù ha appena detto ai suoi in una casa, nell’intimità, che il puro e l’impuro (da identificare con una condizione oggettiva più che soggettiva, con il nostro “santo e profano”) vanno distinti nel “cuore” e non all’esterno, e materializza quanto ha affermato, partendo per una regione pagana ed entrando ivi in una casa in cui un pio ebreo non avrebbe mai messo piede per non contaminarsi.
In Marco, diversamente che in Matteo dove i discepoli sono presenti, attivi e da educare, Gesù pare farlo per se stesso, come per tirare le conseguenze di quanto ha affermato. Ma Gesù non resta nascosto, perché c’è una vigile donna “straniera” che coglie subito la notizia, forse per un sentito dire corredato dalla fama delle sue opere o da quel qualcosa di speciale che irradiava da lui e non sfuggiva a chi aveva il cuore aperto. La donna lo raggiunge, si getta ai suoi piedi con la sua supplica per la figlia “subito”, un subito che in Marco indica sempre qualcosa di decisivo e qui lo è per la vita della figlia della donna, ma anche per Gesù: si tratta per lui di una apertura ai pagani come una svolta per sempre; poi tra loro guarirà un sordomuto e farà una seconda moltiplicazione dei pani ad indicare che il regno dei cieli (significato dal pane e dagli avanzi – briciole) è aperto a tutti coloro che lo cercano.
Gesù di fronte ad uno spirito che tormenta un essere umano potrebbe guarire anche senza parole, ma vede e vuole che emerga quanto abita nel cuore di questa donna ai suoi piedi, quel suo aderire alla realtà così come è, senza pretese, ma anche senza arrendersi, mossa solo dall’amore che fa chiedere “vita”, anche solo briciole di vita vera, piena, per la figlia.
La donna “straniera” in tutta la Scrittura è segno di pericolo di idolatria (basta pensare a Salomone), qui, invece, è occasione per Gesù per assumere una consapevolezza nuova e rivelarsi come portatore di salvezza per tutti. Direi che Gesù che conosce i cuori, con questa donna, più che duro, è di una libertà stupenda: non solo lui ebreo la accoglie, ma le pone davanti la sua diversità (non è una figlia di Israele, probabilmente è devota ad altri dei) e gliela pone con quella che era una “offesa” appena addolcita dal diminutivo: “cani”, cioè impuri, erano chiamati dagli ebrei i pagani in quanto idolatri.
Una verità che la donna fa sua umilmente, anzi la ribadisce coraggiosamente, ma senza rinunciare a quanto ha chiesto. E Gesù, in piena libertà, non accondiscende a fatica, ma le fa scoprire la forza di guarigione che è nel suo stesso atteggiamento, nelle sue stesse parole: “ Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia”.
“Il vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm1,16), dirà Paolo.
Noi tutti di fatto siamo “stranieri” e “pagani” di fronte al Signore, ma sappiamo coraggiosamente riconoscerlo? Dare il giusto nome alle difficoltà, ai limiti, ai sentimenti, ai pensieri, ai peccati è già venirne fuori: il nemico non ha più presa, come il demonio della figlia di questa donna scompare appena lei si pone nella giusta relazione con Gesù.
Cosa abita nel nostro cuore quando ci rivolgiamo al Signore? C’è verità o vanto? C’è il portare il bisogno altrui o solo il nostro? Siamo umili e intelligenti come questa “straniera” noi che siamo introdotti all’ intimità con Gesù?
Gesù non resta nascosto, se , subito, ricorriamo a lui e ci rivela qualcosa di essenziale per noi e per chi ci sta intorno. Gesù è pronto a guarire tutti i figli/frutti che escono dal nostro cuore malato: dove c’è umiltà il demonio fugge sempre “l’umiltà svela ogni inganno del nemico”.
Disse Abba Antonio: “vidi tutte le reti del Nemico stese sula terra e gemendo dissi: “Chi potrà sfuggire?” E udii una voce che mi disse: “L’umiltà”.
Gesù e il gesto della vedova
Marco 12, 41-44
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Nel Vangelo di Marco (e anche in quello di Luca) la visita finale di Gesù al tempio, dopo le dispute con i “grandi” che vi si sentono a casa (farisei, sadducei, scribi), si conclude con Gesù che si siede di fronte alle cassette in cui coloro che si recavano al tempio facevano le loro offerte per il mantenimento del tempio stesso e per i poveri (almeno così doveva essere !).
Immaginiamo di essere anche noi lì ad osservare con Gesù chi passa e getta monete. Mostrare di essere generosi è da sempre un piacere per uomini e donne, ma Gesù, come sempre, non si lascia ingannare dall’esterno, dalla quantità, e guarda all’intimo del cuore, al centro della persona: per lui è questo il vero tempio in cui il Signore viene riconosciuto o ridotto a cosa di poca importanza, a oggetto di ostentazione e mercato.
Il tempio di pietre era un segno come luogo di preghiera per tutte le genti, luogo di aggregazione, di convergenza sulla Signoria di Dio, ma era diventato un mercato e Gesù aveva cercato di farlo capire (Mc 11,15s). Anche il cuore dell’uomo può diventare un mercato ed essere uno spazio in cui passano una infinità di pensieri, sentimenti, illusioni, emozioni che lo inquinano.
Ecco che Gesù vede una persona dal cuore integro che dona al tempio del Signore, sua roccia, tutto ciò che ha per vivere. Sono due spiccioli, pochissima cosa: potrebbe calcolare “uno per me e uno per l’altro (il Signore o il povero)”, invece si affida totalmente nella sua mancanza assoluta di possibilità per il futuro. Questa persona è una “vedova”, e una vedova sola, come appare questa donna, era in Israele figura massima di povertà, di mendicità, anche se la comunità, forse il tempio stesso, avrebbe dovuto soccorrerla, ma non vi era mai certezza che questo accadesse.
Questa vedova, che si ritrova queste due monetine, forse ricevute in offerta, come unica sicurezza per il domani, le “getta” senza che ne abbia l’obbligo, senza che le sia richiesto, le dona ben sapendo che nessuno ci farà caso: la casa del Signore è la sua casa, il suo baluardo, non vuole altro, è tutta lì nel suo gesto.
E Gesù fa notare ai suoi, e a noi lì con Lui nella preghiera, la portata della sua offerta; lei non lo sa, ma Gesù se ne serve per indicare ai discepoli con quale cuore dovrebbero affrontare la prova che li attende, con quale atteggiamento di offerta e affidamento dovrebbero porsi di fronte al nuovo tempio che è Gesù stesso, che sta per consegnarsi totalmente, quale seme gettato in terra per portare frutto di redenzione per tutti (cf Mc 14,35; Lc 13,19; Gv 12,24). Il tutto è troppo duro per i discepoli che restano legati al tempio di pietra, di cui Gesù annuncerà subito dopo la distruzione.
Si può essere “vuoti”, “mancanti”, ma sempre resteranno due spiccioli di possibilità di relazione che, offerti senza riserva e senza paura dell’insicurezza, faranno fiorire comunione. La comunione con il Signore e con gli altri poveri è per questa vedova essenziale più del pane.
E per noi è forse troppo alto il prezzo? Quante e quali riserve abbiamo pronti?
Maria ai piedi della Croce, “vedova e ormai sola” getta nelle mani del Signore suo Dio tutto quanto ha per vivere, come un giorno aveva fatto dei suoi sogni di fanciulla. La sua è adesione totale, integra, al mistero del Figlio nuovo tempio del Signore. Pare che sia lui, il nuovo tempio distrutto e non l’antico, ma Maria con la sua presenza mostra che ha vissuto nella fedeltà, affidata all’unica certezza che quel Figlio gli era stato dato da quel Dio, a cui lei aveva affidato gli spiccioli che erano la sua piccola vita di donna di un oscuro paese di Palestina.
In lei anche la Chiesa tutta, e ciascuno di noi è chiamato a questo nascosto offrirsi con cuore integro (solo il Signore lo saprà!) al di là della situazione di vita in cui ci si ritrova a vivere: solo in offerte così rifiorisce la speranza e il futuro.
La generosità si misura più da ciò che non si vede che da quello che si vede, è presenza, adesione interiore con il cuore “vedovo”, vuoto di sé e di ogni altro possibile progetto che non sia il gettare tutto nel tempio del Signore che siamo noi stessi, in quella parola che Lui ha pronunciato chiamandoci alla vita. Il Signore ci conduca!
“Signore nelle tue mani è la mia vita e la mia morte” (cf Sl 15,5)
Una donna unge il capo di Gesù
Gesti autentici di comprensione e comunione, dati e ricevuti, portano nel mondo intero ciò che il Signore Gesù ha fatto per noi, la vera buona notizia di cui abbiamo tutti bisogno.
Marco 14,3-9
3Gesù si trovava a Betania, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
6Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Caliamoci nella scena cercando profondità, senza fare troppo i confronti con altre scene simili.
Gesù è in luogo carico per lui di amicizia: Betania.
Nel nostro brano non è in casa di Lazzaro, ma presso un tale chiamato Simone il lebbroso: visto che questi è il padrone ospitante, probabilmente è uno passato attraverso l’esperienza dell’emarginazione che ogni tipo di lebbra implicava. Guarito (non si dice però da Gesù) e reintegrato nella sua casa, era ospitale e aperto, per cui una donna può entrare indisturbata e compiere il gesto di gratuità e onore che aveva pensato per Gesù; viene da pensare che lui segua con simpatia i suoi gesti liberi, solo altri tenteranno di infastidirla.
Marco sottolinea la gratuità: la donna rompe anche il vaso di alabastro che contiene il prezioso profumo di nardo. Marco sottolinea l’onore: la donna unge il capo e non i piedi, come forse era più usuale per una donna, più facilmente posta sul piano dello schiavo che del padrone di casa; è come se dicesse “Tu sei per me re, sacerdote e profeta” anche nella debolezza e nella morte.
Della donna non sappiamo il nome, possiamo pensarla figura esemplare di quella parte di umanità che accoglie Gesù nel suo mistero, una di quelle persone che si lasciano pienamente coinvolgere da lui in ogni tempo, “sprecando” per lui quanto di prezioso hanno.
Certo è solo Gesù che esplicita la circostanza di morte imminente: Marco vi allude nel contesto, collocando questo evento, tra i pensieri di coloro che cercano come ucciderlo e la consegna – tradimento di Giuda.
Eppure non si può negare che c’è una intuizione del cuore di questa donna, che preannuncia quasi inconsapevolmente quanto sta per accadere. Non è lei che può trattenere gli eventi, ma l’unzione sostiene Gesù nella lotta che lo attende per portare a termine la sua missione. Gesù riceve da questa donna il conforto umano che i discepoli non sapranno dargli nell’orto degli Ulivi.
Mentre attorno i presenti si perdono in astratti discorsi economico-sociali (i poveri ), tra Gesù e la donna avviene un muto intendersi sul valore unico della persona, su vita e morte, sul darsi reciprocamente ciò che di più prezioso si ha. Gesù, nell’accogliere il gesto della donna, in tutta la sua bellezza di gesto sgorgante dall’intimo, senza che nulla lo esiga, di gesto di totale impegno “ha fatto tutto quanto era in suo potere”, ricorda la propria consegna agli uomini della sua uguaglianza con Dio fino ad accettare la morte umana: c’è nella scena l’umanità “spezzata”, donata dell’uno e dell’altra in profonda unione e intimità (il nardo rimanda allo sposo e alla sposa del Cantico dei Cantici).
Per questo motivo ovunque sarà seminato e accolto il vangelo si ricorderà questo gesto: vangelo e gesto annunciano che Dio ama gli uomini e si lascia amare per come essi possono, senza calcoli e misure.
E noi lo sappiamo accogliere e donare un amore così?
Il dono della vita (lo spreco offerto e/o accolto) precede (non segue!) il compimento della missione che non è dato cogliere in pienezza, se non nella fiducia dell’amore che comprende e vede oltre le apparenze.
Il profumo poi si presta ad esprimere ciò che va oltre il dicibile, il visibile e quindi il restare “vivo” di Gesù oltre la morte: in Marco, le donne vanno al sepolcro con oli aromatici, ma non potranno usarli, Gesù non è più lì, e quindi davvero questa resta l’unica unzione del corpo di Gesù che vince la morte. Certo la donna non lo sapeva, ma il profondo rispetto per il mistero la conduce a questo gesto di comprensione e comunione
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Quante garanzie vogliamo noi sulla utilità di quello che facciamo! Tra gli umani spesso questo è logico, perché quante ambiguità, quante menzogne, quante strumentalizzazioni sono possibili! Ma noi facciamo così anche con il Signore, eppure noi diciamo di credere che è davvero Risorto.
Non c’è Vangelo senza gratuità e spreco da parte del Signore come da parte delle persone che lo accolgono e lo seguono.
Questa donna ci aiuti a inchinarci (allora si stava a mensa sdraiati, per cui la testa non si trovava molto più in alto dei piedi) al Signore, o meglio ancora a “spargerci”, identificandoci più col profumo che con uno dei personaggi della scena, in segno di piena disponibilità per divenire noi profumo di Cristo:
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono (cf 2 Cor 2,15)
così per il suo sì fu la vergine Maria (cf. Lc 2,35) ma sappiamo come lei che Gesù ci ha amato e ha dato se stesso per tutti
“offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (cf Ef 5,2).
Eccoti Signore il profumo della mia libertà,
immergila nella tua amabilità
e il mio cuore spazierà
in orizzonti di infinità carità.